1 marzo 2021 - 12:40

È possibile (e giusto) decolonizzare i musei?

I francesi restituiranno all’Africa le opere d’arte trafugate. Ma proviamo a ragionare sulle “rimozioni”. La mossa di Macron e le precauzioni per gestire il processo di ritorno

di Vincenzo Trione

È possibile (e giusto) decolonizzare i musei? La sezione dedicata all’Arte africana al Louvre (foto Laban Mattei/AFP)
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Pro o contro? Agli inizi degli anni cinquanta il collettivo Présence Africaine propone a Alain Resnais e a Chris Marker di girare un film sull’ “arte negra”. Les Statues meurent aussi (1953) è un documentario (guarda il trailer su YoiuTube) dedicato al mistero delle opere dell’ “altro mondo”: un montaggio disinvolto e un ipnotico gioco di luci rivela, nella penombra, il nero legno di seducenti invenzioni plastiche, testimonianze di civiltà dimenticate. Siamo dinanzi a un film politico. Resnais e Marker denunciano i meccanismi di sopraffazione, di disprezzo e di razzismo compiuti dai colonialisti. Ma si possono apprezzare davvero le sculture africane portatrici di tradizioni orali complesse e oscure? Stiamo assistendo a una sorta di lenta agonia. Le statue stanno morendo, prive del proprio humus originario e del proprio senso intimo, cannibalizzate dal nostro sguardo. «Hanno la bocca e non parlano. Hanno gli occhi e non vedono», recita la voce narrate.

Macron e l’impegno della restituzione

Vincenzo Trione
Vincenzo Trione

Quasi richiamandosi a quel lontano film, nel novembre del 2017 il presidente Emmanuel Macron, non senza un certo coraggio, ha annunciato l’impegno della Francia a restituire, nei cinque anni successivi, i beni trafugati alle colonie d’Africa: «Il patrimonio africano non può più rimanere ostaggio musei d’Europa». Da quella dichiarazione, il tema delle restituzioni è entrato con forza nell’agenda di tanti governi europei. Si tratta di una questione che coinvolge un numero molto ampio di attori. Un’emergenza soprattutto per l’Africa, i cui tesori, secondo alcune stime, per la gran parte (circa il 90%), si troverebbero fuori del continente. Occorrerebbe, come ha affermato l’artista e performer Coco Fusco in un recente articolo, deaccessioning empire : ma è possibile “decolonizzare i musei”? Che cosa sarebbero il Louvre di Parigi, il British Museum di Londra o il Metropolitan di New York se decidessero di riportare sculture e feticci esotici nei loro Paesi d’origine? Ma sarebbe giusto muoversi in questa direzione?

No a riletture partigiane e censure

Ogni rimozione deve essere rifiutata con forza. La storia non può essere trasformata in un tribunale dell’inquisizione. Non va cancellata, né liquidata e neanche dimenticata. Chiede, invece, di essere studiata, approfondita: senza sconti, né filtri. Attende di essere ripercorsa e guardata con nuove lenti. Sottraendosi a facili semplificazioni, a ingenui esercizi riduttivistici, a riletture partigiane e militanti, a ogni censura moralistica che nasconde sempre una presunta superiorità morale. La memoria del passato resta la base su cui costruire il presente e immaginare un futuro diverso. Serve pietas per giudicare gli uomini: anche i loro sbagli, le loro violenze. Senza inchinarsi alla dittatura del presente, che tende a cancellare dall’esperienza del tempo le sue stratificazioni, condannandoci a sopravvivere sotto la dettatura della cronaca, in una dimensione atrofizzata e senza spessore.

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La necessità di storicizzare gli eventi

Bisogna, perciò, sempre storicizzare gli eventi e le situazioni. «È solo entrando in un racconto che il tempo - spietato, indifferente, sterminatore - si umanizza, diventa troppo umano», come ha scritto Antonio Scurati. Se scegliessimo di caricare le opere d’arte portate via dall’Africa con violenza su aerei e treni, solo all’apparenza riusciremmo a liberarci dall’eterna questione della colpa che, da secoli, inquieta l’anima e la coscienza dell’Occidente. Sarebbe un tentativo per tentare di sciogliere quel nodo del quale siamo prigionieri. Per un verso, abbiamo la fortuna di appartenere a una generazione, come è stato detto, «toccata dalla grazia della tarda nascita», biograficamente non responsabile per le scelte dei propri padri.

Diretti eredi dell’età dei colpevoli

Per un altro verso, sul piano giuridico, politico e culturale, come ha ricordato Jürgen Habermas, siamo i più diretti eredi dell’età dei colpevoli. Impigliati in questa matassa, incapaci di fare il resoconto finale, preferiamo evitare un confronto serio e severo con gli errori di chi è venuto prima di noi. Forse, è questo il limite della proposta di Macron. La questione è altrove. Sta nel ripensare in maniera radicale la collocazione, nei nostri musei, dei reperti, delle sculture e dei feticci giunti dai principali Paesi africani. Nel riarticolare e nel riallestire le narrazioni dell’arte “primitiva”. Portandosi al di là di un’ottica colonialista. Abbandonando una prospettiva occidentecentrica. Superando certe rappresentazioni offensive e umilianti del “buon selvaggio” e dell’ “altro da noi”. E smontando definitivamente la retorica dellamission civilisatrice. Per riaffermare, invece, l’importanza di una prospettiva etno-antropologica, capace di per far cogliere il nesso necessario tra quelle opere, il contesto sociopolitico nel quale sono state ideate e realizzate, le loro funzioni, i loro significati simbolici.

Educare i visitatori a capire l’arte «primitiva»

Inoltre, bisogna portarsi oltre una filosofia d’impronta relativista. Per far comprendere meglio e con maggiore correttezza i segreti (spesso impenetrabili) racchiusi nella convulsa e inspiegabile bellezza di oggetti dai quali, potremmo dire con le parole di Ernst Gombrich, affiorano nostalgia per l’infanzia e «desiderio di ritrovare un’epoca passata o terre lontane: più primitive eppure più spensierate, più innocenti della nostra condizione presente». E ancora: occorrerebbe far capire ai visitatori dei nostri musei che le stesse categorie di arte e di patrimonio - figlie della nostra tradizione - sono lontane dalla sensibilità degli anonimi creatori di quelle statuette antropomorfe. Infine, sarebbe fondamentale documentare, nei pannelli esplicativi, le modalità attraverso le quali quei “bottini” sono stati acquisiti. Solo così, per tornare al film di Resnais e Marker, potremmo tornare ad ascoltare davvero la voce delle statue.

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